
Lavoratrici e lavoratori dipendenti sono persone adulte, abituate nella vita privata, familiare, sociale ad assumersi responsabilità e prendere decisioni.
Sul lavoro, invece, sebbene vi si arrivi dopo aver ampiamente superato l’adolescenza, aver acquisito competenze ed accumulato esperienze, si viene retrocessi alla dimensione dei minorenni, persone con una maturità non adeguata alla gestione autonoma delle proprie responsabilità.
Da qui, i vincoli – di spazio e di tempo – e la negazione di una minimale forma di autonomia all’eterno adolescente che è il lavoratore dipendente.
I dipendenti, come gli allievi a scuola, devono essere presenti fisicamente al suono della campanella, rispondere all’appello del cartellino, giustificare i ritardi, chiedere il permesso per spostarsi da una sede di lavoro a un’altra, anche per partecipare ad un’attività richiesta dal ruolo.
Il risultato è un insieme di persone adulte costrette all’interno di procedure e controlli, rigidità organizzative e incentivi a non far mai nulla di più o di diverso da quanto richiesto.
Se il compito del dipendente è conformarsi ad un regime burocratico e subordinarsi a gerarchie, il suo obiettivo non sarà apportare un contributo all’organizzazione ma adattarsi, obbedire passivamente e avere meno problemi possibile.
Il datore di lavoro si trova così circondato di scolaretti diligenti e demotivati, e l’unico parametro di valutazione che avrà sarà la condotta, misurata sulla puntualità di timbratura e la compliance alle procedure. Talvolta puà incidere anche il parametro della piaggeria.
Lo Smartworking è un altro modo di lavorare. Il presupposto è che i lavoratori e le lavoratrici siano – guarda un po’ – persone adulte, che in piena consapevolezza, e sulla base di qualifiche verificabili, hanno stipulato un contratto di lavoro.
L’obiettivo del datore di lavoro è massimizzare i profitti e lo si può raggiungere in due modi: sfruttare il capitale umano e di mercato, o creare valore – cioè qualità, efficienza, innovazione. Nel primo caso, l’obiettivo del datore di lavoro confligge con quello del lavoratore. Nel secondo, converge.
Una persona adulta difficilmente si pone come obiettivo professionale di sopportare pazientamente le vessazioni aziendali per riceverne in cambio uno stipendio a fine mese. E’ più probabile che l’obiettivo di lavoratori e lavoratrici sia realizzare al meglio il proprio potenziale, dedicare tempo, energie e competenze in attività costruttive e gratificanti, e poterlo fare con la soddisfazione di produrre un reddito adeguato.
Un’azienda intelligente comprende come avere nel proprio staff persone adulte da coinvolgere con autorevolezza in un obiettivo comune sia meglio che avere ai propri ordini delle scolaresche sulle quali esercitare la forza unilaterale della autorità. Non tutti i datori di lavoro sono intelligenti – è vero – ma questo non è un motivo sufficiente per arrendersi alla stupidità.
Lo Smartworking non impone ai dipendenti di stare a casa attaccati a un Pc sul tavolo della cucina mentre i pargoli fanno casino. Lo Smartworking consente a ciascuno ed al gruppo di lavoro nel suo insieme di valutare e decidere come è meglio svolgere una data mansione o perseguire un dato obiettivo.
Se devo fare un sopralluogo, per dire, sarò in grado di capire che è necessario recarmici in presenza. Ma se devo parlare mezz’ora con due colleghi di un documento condiviso in cloud, è necessario che ciascuno di noi perda due ore per andare avanti e indietro fisicamente in ufficio?
Il lavoro è intelligente (smart) perché consente al sistema azienda di organizzare le attività ed allocare le risorse in un modo che si condivide essere efficiente, perché evita gli sprechi in energie individuali, tempo e risorse e valorizza le capacità individuali.
Lo Smartworking non è uno standard di lavoro unico uguale per tutti ma un principio di adattamento agli obiettivi aziendali che ne massimizza la convergenza con gli obiettivi dei lavoratori. Cioè consente di fare meglio al meglio, e questo meglio è sempre flessibile, sempre passibile di aggiustamenti successivi anche in virtù delle evoluzioni tecnologiche e delle esperienze via via maturate.
Quello che abbiamo fatto in lockdown non è Smartworking ma segregazione domiciliare coatta. Lo Smartworking è lavoro intelligente, ed è intelligente perché agevola lavoratori e lavoratrici, consentendo di organizzarsi senza stupidi vincoli di presenza e obblighi orari vessatori.
Lo Smarworking rende i lavoratori persone adulte, responsabili e libere. In questo thread condiviso su Twitter le donne della Cigil sottolineano i risultati di un questionario in cui si scopre che il lockdown è stato tremendo.
Il grande sindacato nazionale fa quindi coincidere lockdown con Smartworking, e non si riesce davvero a capire quale beneficio, questo corto-circuito fattuale e logico, possa portare alle donne che lavorano.