
Siamo andati via dal Sud esattamente come saremmo andati via da Milano se fossimo nati lì. Volevamo conoscere, scoprire, confrontarci con culture, tradizioni, opportunità che ci permettessero di vivere l’esperienza umana in maniera profonda e piena. E la pienezza non si esaurisce mai nelle consuetudini inerziali del luogo di origine – fosse anche il cosmopolita, evoluto, civile, colto quartiere milanese di Brera.
Un recente articolo di Rivista Studio ha ironizzato sul fenomeno del terronismo di ritorno, ristabilendo l’ovvio: il Sud non è Milano. Ti fai le vacanze, al Sud. Ci trovi buon cibo, bel clima, spiagge, campagna, tradizioni pittoresche e dal sapore antico. Ma se vuoi vivere nel mondo scegli Milano – sostiene l’autore del non acutissimo pezzo.
Ma perché Milano? Se voglio vivere il mondo, scopro altri paesi europei, imparo a comunicare in altre lingue, mi confronto con espressioni culturali, consuetudini e tradizioni gastronomiche che prima ignoravo – se non per sentito dire.
Vedo come sono fatte le case fuori dall’Italia, che cibo si trova al supermercato e come si faccia a trovare un lavoro per il quale si hanno i requisiti. Non mi fermo ai confini del micro-mondo nazionale, non individuo nel capoluogo lombardo la mèta del conoscibile. Oltre Milano c’è molto di più!
Andare via dal Sud per fermarsi a Milano – come fosse il finis terrae del fichismo globale – è come avviarsi sul cammino per Santiago e fermarsi alla prima tappa. La questione quindi non va posta come un’opzione binaria – o il Sud lento, arretrato e irredimibile o la Milano cinetica, trendy, cool.
Il punto è se, come e perché i tanti Sud d’Italia possano diventare da luoghi comuni dove tornare, restare o andare in vacanza, luoghi in cui poter scegliere di vivere. E i Sud in Italia non sono solo al Sud. Sono “Sud” le aree periferiche e montane del Nord come i borghi del Centro, le aree rurali come le isole – almeno così la intendiamo qui su Scelgo il Sud.
Dunque scegliere il Sud non restare, non tornare.
Scegliere un luogo del Sud in quanto tale e non perché c’è la famiglia, la casa del nonno, le zie con la campagna. D’altronde nessuno va a Londra o a Parigi ma nemmeno a Milano perché la sua famiglia ha casa lì.
Click to Tweet
Ovvio che per scegliere di vivere in un luogo, ovunque esso sia, devono esserci un tessuto culturale, servizi e infrastrutture essenziali, che al Sud invece mancano e che rendono in senso lato il Sud una non opzione. Questo oggi.
Oggi però c’è anche una congiuntura favorevole alla emersione di un Sud – nell’accezione estesa definita sù – diverso, che potrebbe venire da un’insieme accidentale di sinergie tra fattori umani, economici e congiunturali.
L’esperienza del lockdown e della limitazione delle libertà, lo smartworking, il transitorio ma imponente svuotamento delle città, tra cui Milano, insieme ai fondi europei del Recovery Fund potrebbero mettersi a fattor comune e determinare le condizioni necessarie a tradurre l’utopia della vita al Sud in una opzione razionale di scelta di vita.
Non si tratterebbe di lasciare Milano per tornare un po’ pateticamente al Sud di nascita, ma di scegliere il Sud perché, tutti i fattori considerati – infrastrutture, servizi, attrattività territoriale, qualità e costo della vita – si vive insospettatamente meglio lì che nella Milano di oggi. Di oggi, domani chissà!
Su Scelgo il Sud pensiamo che, nonostante il Sud, il contesto sia favorevole a stimolare un processo di rigenerazione umana e sociale e di sviluppo territoriale e produttivo.
Ci sono già le prime iniziative imprenditoriali che fanno leva sull’orientamento delle aziende, soprattutto delle più grandi, verso lo smartworking e i nuovi bisogni che dal lavoro in remoto sorgono.
Si comincia a brandizzare il southliving, facendo leva sulle potenzialità dell’offerta immobiliare in luoghi spesso bellissimi ma spopolati. E questo sebbene sia ancora troppo prematuro definirlo un fenomeno – vediamo prima quanto, quelli che da Milano dopo il lockdown sono tornati al Sud, resisteranno dopo qualche mese di permanenza.
Ci sono tante cose al Sud – per chi scrive, troppe – che lo rendono oggi una non-opzione. La prima è che si ha la certezza di non poter fare altro lì che adeguarsi, soccombere o andare via. Possibilità di incidere, scarsa. Quasi nulla per una donna.
Ci sono però troppi indizi per non supporre che proprio oggi si possano porre le basi per un domani al Sud. Un “domani” a cui sembra superfluo aggiungere l’aggettivo “diverso”.
Se questa congiuntura incredibilmente favorevole al Sud, che potenzialmente potrebbe innescare la svolta, non venisse colta, il Sud continuerà ad essere “il” Sud che ha stufato pure le riviste intello milanesi, perché gattopardescamente corrisponde sempre ai più triti, mortificanti stereotipi. E quel Sud un domani non ce l’ha – né uguale né “diverso”.