Lavoro stupido vs Smartworking

Smartworking si traduce letteralmente in “lavoro intelligente”. Il contrario di intelligente è stupido.
Stupido è intasare le città di auto come un gregge all’ora del pascolo, o affannarsi a prendere un mezzo per arrivare in tempo a timbrare un cartellino in ufficio, prendere posto davanti un pc e mandare email.

Prendiamo spunto da questo tweet per proporre di affrontare la questione Smartworking come un’opportunità, piuttosto che come uno “scontro di civiltà”.

Non tutte le attività si possono svolgere in smartworking – va da sé. Ma ce ne sono molte, in tutti i settori e nelle diverse dimensioni aziendali, che invece si svolgevano in digitale anche prima della pandemia – email, co-editing di documenti, call con collaboratori esterni.

Le attività digitali consuete per molti profili professionali, durante il lockdown sono rimaste identiche a sé stesse. I lavoratori hanno continuato a fare da casa – da casa solo perché costretti alla segregazione domiciliare – le stesse mansioni, con lo stesso ritmo e con efficienza uguale o superiore a quella di prima.

Per queste persone, non ha alcun senso tornare a fingere che la presenza fisica in ufficio sia lavoro mentre lo smartworking no.
Ancora meno senso ha che la presenza fisica in ufficio agli orari comandati venga imposta per tenere viva l’economia delle tavole calde in zona centro.
Ci sono locali dove pranzare o fare pausa caffè anche nelle periferie delle grandi città, nei piccoli comuni, nei borghi, ed anche questi producono Pil.

Lo smartworking, come hanno messo in evidenza varie ricerche , aumenta la produttività del lavoro, e le aziende che lo praticavano anche prima del lockdown, lo consigliano ancora di più oggi per i benefici oggettivi riscontrati.

Ci sono tra l’altro gli aspetti legati alla riduzione del pendolarismo, e i relativi benifici sia per l’impatto ambientale, sia per le casse pubbliche. Gli incidenti sul lavoro in gran parte avvengono nei tragitti casa-ufficio – che sono anche una fonte, non l’unica, di stress. Se si riducono gli spostamenti coatti, si riducono anche i costi per la sanità e i costi per le aziende.

Quello che abbiamo fatto durante il lockdown era telelavoro, non smartworking. I parametri per poter valutare l’impatto complessivo dello smartworking sono moteplici, non tutti ancora ponderabili. Non abbiamo ad esempio ancora stime sul presunto – auspicato – sviluppo delle aree non urbane che, grazie alla possibilità di lavorare in smartworking, sono tornate a diventare attrattive come alternativa possibile alla grande città. Quei dati, a nostro avviso, vanno ponderati nel computo del dare-avere in termini economici dello smartworking.

Abbiamo comunque già dati, studi ed esperienze sul campo realizzati negli anni – prima della pandemia. Quei dati parlano positivo, anche per quello che suggeriscono a una grande città.

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